sabato 14 marzo 2009

La collettività è morta e risorta?


Ho appena consegnato le risposte per un'intervista che mi hanno fatto sulla nostra collana "Z", su The Walking Dead e, più in generale, sul fenomeno zombie.

L'intervista dovrebbe apparire sul prossimo numero della rivista DE:Code dedicato, appunto, agli zombie.
È stato divertente, anche perché le domande di Nicola Peruzzi rispettavano il patto che io e lui avevamo stretto prima di cominciare: che nell'intervista ci fosse spazio anche per il cazzeggio.

Però, fuor di cazzeggio, vi propongo qui di seguito una delle domande dell'intervista (con relativa risposta) che, secondo me, propone una riflessione interessante sul riemergere in questi anni della figura dello zombie.

Se vi va di partecipare al dibattito, in fondo al post trovate un accogliente spazio COMMENTI.

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Con saldaPress avete cominciato ad interessarvi agli zombie quando il mercato italiano era ancora per certi versi “vergine”. Oggi pare che la zombie-mania stia dilagando in tutto il mondo, Italia compresa (e dire che a livello di ricezione siamo anche piuttosto lenti). Come giudichi questo ritorno di interesse nei confronti dell’argomento?

Slego la tua domanda dal mero aspetto editoriale e ti rispondo che l'interesse diffuso nei confronti degli zombie, per come la vedo io, è legato a filo doppio con il concetto di collettività.
Provo a spiegarmi. In questi mesi sono nel mio “periodo Gaberiano”, il che significa che, uno dopo l'altro, mi sto riascoltando in ordine cronologico tutti i lavori di Giorgio Gaber dal 1970 al 2000. È interessante seguire il percorso artistico di Gaber e vedere come descriva esattamente lo sgretolarsi dell'idea di collettività in Italia nello spazio di trent'anni: dalla collettività si passa al singolo e, di conseguenza, allo smarrimento di molti dei parametri che nel dopoguerra hanno guidato la nostra convivenza civile.
Gli zombie rappresentano in chiave fantastica il concetto di collettività. O meglio, sono una nuova forma di collettività sociale i cui membri, pur guidati da un desiderio individuale (la fame), si muovono verso di esso in modo collettivo facendo forza sull'inesauribilità del loro numero.
Lo zombie, in passato, spaventava perché vi si leggeva la massa senza coscienza dei regimi totalitari del secolo scorso. Oggi il cinema, la letteratura e i videogiochi hanno svelato come spaventosa questa capacità degli zombie di ottenere qualcosa agendo insieme e di sbaragliare tutto ciò che si oppone all'idea di un cambiamento che già solo la loro esistenza porta avanti.
Ma paura e desiderio sono da sempre legati a filo doppio (e Freud ci aveva aggiunto anche la pulsione di morte). Così oggi, attraverso un gioco di rimandi tutto postomoderno, la figura dello zombie non spaventa più, anzi, pare accettata a tutti i livelli. Probabilmente ci affascina proprio perchè, avendo perso progressivamente l'idea di collettività, riponiamo il nostro desiderio di qualcosa che ci manca là dove vediamo che ancora è presente. Fosse anche un gruppo di cadaveri caracollanti pronti ad azzannare chiunque.
Credo sia un principio molto simile a quello per cui più ci allontaniamo dalle nostre radici storiche e culturali, più subiamo il fascino di culture tribali lontane che, a differenza della nostra, sono ancora fortemente legate al proprio passato (o, più semplicemente, che noi immaginiamo ancora tali).

1 commento:

Unknown ha detto...

Leggo tutto in anteprima sul Pidieffone di De-Code 2.
Comunque, restando sul pezzo, bella analisi.
Anche se più che al concetto di azione collettiva, personalmente attribuisco il grande ritorno degli Zombies alla loro capacità di incarnare alla lettera una società cannibalica, disgregata e terribilmente ottusa.
Che sia solo ansia di decadenza?