sabato 11 giugno 2011

Call of the Dead.

Me lo domando spesso: ma come accidenti fa il genere zombie ad essere sempre in anticipo sul resto del cinema?

Sul serio: tracciate una linea che vada da La notte dei morti viventi ad oggi e divertitevi ad individuare ed elencare quanti sono gli elementi introdotti dal cinema zombie che poi abbiamo trovato riadattati e riproposti nel resto della produzione cinematografica mondiale.

Appunto, fino ad oggi quando Call of the Dead segna un punto di svolta: dopo che gli zombie del mondo cinematografico hanno contagiato il mondo dei videogames (il nuovo cinema del XXI secolo), ora è il momento di un ribaltamento.
E questo ribaltamento lo compie Electronic Arts/Treyarch  regalando ad una delle sue espansioni per Call of Duty: Black Operation il marchio "Z" (in pratica l'evoluzione dell'idea che aveva avuto Rockstar per il suo Red Dead Redemption, idea a sua volta figlia di uno spunto di qualche anno prima per un livello segreto della serie di Call of Duty).


Call of the Dead è infatti uno Z-FPS (sparatutto in prima persona a tema zombie) con tutti i crismi. Uno dei tanti se non fosse che è interpretato da attori famosi, vere e proprie icone del cinema di genere.
Meglio: non gli attori in carne ed ossa ma Danny Trejo (Machete), Robert Englund (Freddy Kruger), Micheal Rooker (The Walking Dead), Sarah Michelle Gellar (Buffy) e, ciliegina sulla torta, sua maestà George A. Romero nella parte del leader degli zombie.
Tutti nella loro versione digitale a cui gli stessi attori danno la voce (tranne Romero che non è chiaro se sia stato coinvolto o meno nel progetto).



Capite il cortocircuito?
Quanti anni sono che sentiamo Zemeckis & co. predicare che il performance capture avrebbe reso  immortali i divi del cinema per renderli poi disponibili ad interpretare nuovi ruoli, anche i più assurdi, all'infinito? Ovvero che un nuovo cinema era alle porte, un nuovo cinema i cui criteri di produzione sarebbe stati guidati soltanto dalla bussola della fantasia più sfrenata.
Zemeckis aveva ragione (lui e James Cameron hanno sempre ragione) ma si sbagliava su una cosa: il luogo in cui ciò sarebbe avvenuto non sarebbe stato il cinema (la cui fruizione – e quindi la produzione – restano ingessate in una sorta di ieraticità da secolo scorso) ma qualcos'altro di più nuovo a cui il cinema avrebbe solo tirato la volata.



Ed ecco infatti che EA con Call of the Dead ci mostra il primo passo di quel sogno impossibile per il cinema, creando un film (pardon, un gioco) con un cast da vera e propria fantasia uber-nerd.
A Call of the Dead non serve il performance capture perché è un gioco, non un film. Gli basta il viso degli attori (ridotto ad una texture da applicare a un modello 3D) e la loro voce.
Il resto lo fa la nostra fantasia che, mentre guida i movimenti dei nostri avatar all'interno del gioco (gioca), usa il ponte evocativo dell'iconicità degli attori per farci costruire mentalmente la trama di questo film impossibile (ossia, ci crea il ricordo di un film).



Call of the Dead è un videogame ma parassita l'immaginario cinematografico fin dal trailer, omaggio all'estetica grindhouse, unico luogo mentale (e cinematografico) dove un progetto del genere sarebbe potuto esistere. Diventa un film nella misura in cui i numerosi film e personaggi interpretati dagli attori sono sufficienti, se accostati, a creare un percorso narrativo, ovvero una sorta di montaggio connotativo ejzenštejniano dove nell'accostamento delle immagini più che le inquadrature conta l'accumulo di caratteri sul corpo degli attori.



Call of the Dead è infatti un progetto in grado di riportare in un attimo la dimensione del videogioco a quella più generale del gioco, come a dire che non esiste differenza tra il gioco di ieri (quando, muovendo bambole e pupazzi, assemblavamo un racconto, spesso derivato da visioni cinematografiche o televisive) e il gioco di oggi in cui i pupazzi sono fatti di immagini da muovere su uno schermo.
Ieri come oggi si gioca per comporre la struttura di un percorso narrativo in cui la dimensione del giocatore (come quella dello spettatore cinematografico) non è mai passiva.

E se domani Call of the Dead diventasse un film (o una serie tv) il cortocircuito sarebbe completo.
Esattamente come quello tra cinema e fumetto operato da Mark Millar sul Nick Fury con la faccia di Samuel Jackson in The Ultimates.



ps: ma in fondo siamo sempre all'interno del postmodernismo e del suo gioco di specchi che riflettono specchi, un gioco perfetto per tenere il più lontano possibile la paura tutta moderna di non esserci più quando le cose forse si faranno davvero interessanti (e allora meglio illudersi che il tempo si cristallizzi nel continuo rimasticare dell'esperienza passata).
Non ci credete?
E allora date un occhio anche a questo filmato che colloca il tutto di cui sopra in una diversa prospettiva (che dire "nuova" non è proprio il caso):

2 commenti:

Pangio ha detto...

Caro Cicca e cari Saldatori mi limito a ricordarvi che in pratica siamo arrivati al 13 giugno.
E non aggiungo altro.
Saluti

Pangio ha detto...

Eh lo so che rompo, ma ormai siamo al 20 giugno (domani e domenica ovviamente non contano) e tutto tace.
Sospiro.
Saluti