domenica 21 giugno 2009

Martyrs.


C'è un virus che si aggira per il cinema europeo, un virus di nome Michael Haneke.
Buona parte degli elementi disturbanti che il regista austriaco ha disseminato nelle sue pellicole nel giro di più di 10 anni, partiti dalla vecchia Europa e mescolatisi con i ceppi provenienti da Oriente che li hanno resi non tanto più forti quanto più velocemente trasmissibili, sono ora in circolo nel cinema mondiale: violenza immotivata (Funny games, 1997), automutilazione (La Pianista, 2001), senso di assedio e di pericolo (Niente da nascondere, 2005).
A un certo anche lo stesso Haneke si è reso conto di questo, tanto da volere andare a riscuotere la sua eredità girando provocatoriamente lui stesso nel 2007 il remake americano di Funny Games.
C'è poco da fare: tolto il jazz, gli americani non hanno inventato mai niente e quindi, se ci guardi bene, anche il tanto sbandierato genere torture porn di questi ultimi anni (da Hostel in poi, tanto per dare una coordinata di massima), alla fine, è roba nostra che gli yankee hanno semplicemente industrializzato meglio.
Niente di nuovo insomma.

Questo solo per dire che anche Martyrs, la pellicola di Pascal Laugier in questi giorni nella sale italiane, deve molto al cinema di Haneke, anche se, a differenza dei suoi noiosi epigoni d'oltreoceano, qui il tutto è raccontato senza voler per forza trasformare il film in un luna park delle mazzate e degli schizzi di sangue (anche se di entrambi ce n'è in abbondanza).
Però Laugier non è Haneke e, quindi, in Martyrs tutto il discorso sul linguaggio cinematografico viene accantonato in funzione di una narrazione che ha il suo punto più debole nel fatto che, se per caso qualcuno vi racconta la trama prima che vediate il film, buona parte del senso della pellicola svanisce (cioè come nei film di M. N. Shyamalan, anche se il regista indiano adottato da hollywood ha un equlibrio formale nella costruzione dell'oggetto filmico che permette continui approfondimenti delle sue pellicole tramite successive visioni).

Martyrs lo segnaliamo qui solo perché, oltre ad essere un film interessante da vedere (e l'invito e di riguardare la locandina una volta visto il film per scoprire come tutto era già sotto i nostri occhi), una delle false tracce di cui il regista dissemina la pellicola ha proprio a che fare con… una zombie (e, sono sincero, è un film che, se non me l'avesse consigliato Zironi, io non lo avrei mai visto).

2 commenti:

Davide Ragona ha detto...

Boh! A me è sembrato un pò fine a se stesso.
Alcuni momenti sono molto belli, ma mi sfugge il senso generale.
E poi lo hanno paragonato a "Salò e le 120 giornate di Sodoma" e questo non si deve fare mai.

saldaPress ha detto...

Bah! Non gioca nemmeno nello stesso campionato del film di Pasolini.

È solo un film che è divertente guardare mentre semina varie piste che, a parte rivelarsi false, sono comunque raccolte bene in una trama comune.
Titto lì.

Ad esempio a me è piaciuto molto quando la protagonista trova Nina Moric nella cantina degli X-Men.