Mentre il volume 5 di
The Walking Dead dovrebbe essere in viaggio verso tutte le librerie (e in alcune ormai già arrivato), per ingannare l'attesa vi propongo qui sotto la bella introduzione a firma di
Paola Barbato con cui abbiamo scelto questa volta di aprire il volume (e di cui ringrazio qui nuovamente l'autrice).
IL PREZZO DELLA SOPRAVVIVENZAdi
Paola Barbato(introduzione a The Walking Dead vol. 5 - La miglior difesa)Quando cominci una storia sei sempre convinto di avere qualcosa da raccontare. Qualcosa di ben preciso, circostanziato. Un tema, un plot, un’ambientazione. E, ovviamente, di poter gestire a tuo piacimento almeno una manciata di personaggi. Li farai interagire, muovere, evolvere, cambiare proporzionalmente a quanto cambia il mondo intorno a loro. Si parte sempre da lì. Però poi, alla prima deviazione, inspiegabimente si svolta. Questa è stata la sensazione avuta dalla lettura dei primi cinque volumi della serie “The Walking Dead”. Robert Kirkman è partito con le migliori intenzioni: in mente quanti e quali difetti dell’attuale società dileggiare e condannare, già pronte le ambientazioni subito riconoscibili eppure sottilmente “difettose” (in quanto private della loro normalità), e in pugno, studiato nei minimi dettagli, il più variegato spettro emotivo da applicare ai propri personaggi. Kirkman, lo si capisce subito, era certo della loro evoluzione. Su alcuni non si sbagliava, per quanto la loro prevedibilità sia un po’ l’anello debole della serie, su altri ha rischiato e ha fatto bene. Certi li ha sottovalutati. E lì è cascato nella più deliziosa trappola in cui possa cadere uno sceneggiatore: sono stati i personaggi a prendere in pugno lui.
Diciamocelo: gli zombie sono solo un pretesto. Ci si affeziona quasi subito a questi bruttoni lenti, cenciosi, privi di qualsiasi reazione o scopo, non fosse che l’alimentazione (peraltro non necessaria). Alla fine sono uno sfondo come un altro, un fastidio come un altro, un ostacolo da scavalcare con un balzello, senza enorme fatica. Non sono i cattivi, sono gli sfigati, quelli a cui è andata a male. Invece i sopravvissuti, quelli che Rick al termine del quarto volume definisce i “veri” morti viventi, quelli sì che sono il poco edificante specchio di questa nostra umanità. I lettori sono costretti a conoscerli e poi disconoscerli, in un graduale abbruttimento man mano che la storia va avanti. E come ho detto poc’anzi, i personaggi non sempre sono ubbidienti. Pensi di averli in pugno, di dare a ciascuno il peso che merita, eppure capita che qualcuno resti un passo indietro, per quante battute gli metti in bocca e quante scene gli dedichi, magari con l’amore eccessivo di un padre verso un figlio testone. Mentre nel frattempo chi deve emergere emerge, chi deve sopravvivere sopravvive, chi vuole ottiene. Anche dall’autore. Un esempio lampante è quello di Michonne. Allineata perfettamente con gli zombie che l’affiancano nella sua prima apparizione, questa carismatica amazzone nera nella manciata di 20 pagine si è mangiata tutti i personaggi femminili e metà di quelli maschili. Il lettore comincia ad aspettarla, non perché sia particolarmente bella o perché faccia cose strabilianti, ma perché è carismatica, credibile, latentemente pazza. Michonne probabilmente i cattivi, i cattivi veri, li ha già incontrati. E altrettanti ne incontrerà in questo quinto capitolo della serie che, mi dicono voci di corridoio (o più prosaicamente internet) tanto scalpore ha suscitato in America insieme a quello successivo.
Senza nasconderci dietro un dito sappiamo che Michonne è destinata a subire i peggiori oltraggi che possano essere perpetrati su una donna. I peggiori, in assoluto. E sapete come posso esserne certa? Perché ho una fervida fantasia. Molto, molto fervida.
E Kirkman, sottolineando per l’ennesima volta quanto bene conosca i pozzi neri dell’animo umano, le ha riservato il peggio con lo stratagemma più bastardo e subdolo che ci sia: non ci mostra nulla. Non vediamo. Ma sentiamo. Ciascuno è libero di immaginare, non ci sono riferimenti certi a nessun abuso, nessuna tortura, nessuna perversione o aberrazione. Solo le frasi sconnesse dell’aguzzino, solo le urla trattenute di Michonne, solo le lacrime di chi ascolta. In questa negazione dell’esplicito c’è tutto lo schifo che accompagna la violazione di un corpo femminile. Femminile, sì. La non-scena sarebbe stata meno forte se il protagonista fosse stato un uomo, nemmeno se l’avessero passato in un tritacarne. Ho pensato cose veramente orrende nel leggere e rileggere quelle poche pagine, quelle poche parole. Ho avuto modo di valutare con precisione millimetrica la mia fantasia (malata), la mia perversione e anche le mie paure (difficile a credersi ma son donna pure io). Di buono resta che tutto ciò accade a Michonne. Non a Lori o a Carol, o a Maggie. A Michonne, il Personaggio Emerso, il Personaggio Quadridimensionale, il Personaggio Vivo, la Morta Vivente per eccellenza. Non ci farà aspettare molto per mostrarci quanto profondamente radicata sia questa verità secolare: solo chi è in grado di dare la vita è veramente in grado di dare la morte. O di andarci molto, molto vicino. Che l’attesa sia con voi, varrà ogni attimo.
Nessun commento:
Posta un commento